Burnout, quasi 6 dipendenti su 10 ne hanno sofferto

 Burnout, quasi 6 dipendenti su 10 ne hanno sofferto

Dal 2019 è riconosciuto come un fenomeno occupazionale e, negli ultimi anni, si riscontra sempre più frequentemente tra i dipendenti italiani

Alessandro Raguseo, CEO e Co-founder di Reverse: “Le aziende possono sicuramente fare la loro parte. Una maggiore cultura della fiducia, per esempio, contrasta il rischio di stress patologico”

Nel 2019, l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) ha riconosciuto ufficialmente il burnout come un “fenomeno occupazionale” e oggi compare nell’International Classification of Disease, la classificazione internazionale delle malattie e dei problemi a loro correlati. Negli ultimi anni, complici la pandemia, il lockdown e la difficile situazione economica, si è registrato un numero sempre crescente di casi di burnout sul lavoro, soprattutto tra i giovani. L’edizione del 2022 dello STADA Health Report, a proposito, evidenzia come quest’anno rispetto al 2021 ilivelli di burnout siano passati dal 49% al 59%, soprattutto in riferimento alla fascia d’età tra i 18 e i 34 anni e alle lavoratrici di sesso femminile (il 70% di entrambe le categorie ha dichiarato infatti di aver vissuto almeno un episodio di burnout). 

“Si tratta di un fenomeno catalogato nel 1974 dallo psicologo americano Herbert Freudenberg come una ‘estinzione della motivazione o degli incentivi’ che rende difficoltoso trovare stimoli e affrontare gli ostacoli – racconta Alessandro Raguseo, Ceo e Founder di Reverse – Benché si tratti quindi di un fenomeno riconosciuto da molto tempo, mai come in questi ultimi anni se ne è riscontrata una frequenza così alta, soprattutto a causa dei cambiamenti epocali che stiamo vivendo, né è stato considerato con l’attenzione che effettivamente merita”. 

A pochi giorni dalla Giornata Mondiale della Salute Mentale, celebrata lo scorso 10 ottobre, ci si chiede che cosa possano fare le imprese per prevenire o arginare questo fenomeno che può provocare gravi danni non solo alla salute del singolo individuo, ma anche all’intera azienda? Ecco i 5 consigli elaborati da Alessandro Raguseo, Ceo e Founder di Reverse, azienda internazionale di HR e Head Hunting: 

  1. Mettere al centro il benessere del dipendente. Alcune aziende scelgono di creare la figura del Chief Happiness Officer, in breve CHO: è una buona scelta per accompagnare l’affermarsi della giusta cultura, ma può rivelarsi controproducente se rimane solo di facciata. Ovviamente l’ideale sarebbe non sentirne il bisogno e dare per assodato che la felicità dei dipendenti sia già una priorità di tutti i manager.
  1. Impostare una cultura aziendale per obiettivi e non per ore lavorate. Questo si traduce nel lasciare che i dipendenti si autogestiscano, coordinandosi ovviamente con il team, per quanto riguarda gli orari di lavoro, dando più peso agli obiettivi da raggiungere, che devono essere quindi ben definiti e condivisi. Inoltre, una sana cultura aziendale per obiettivi si appoggia inevitabilmente a una maggiore cultura della fiducia da parte del datore di lavoro nei confronti dei propri dipendenti, che riduce senza dubbio il rischio di stress patologico causato dal lavoro. 
  1. Prestare attenzione all’home working, che spesso non si traduce in smart working. Non è assolutamente scontato infatti che il lavoro da remoto si traduca automaticamente in un maggiore benessere dell’individuo. Lavorare da casa tutti i giorni può portare con sé situazioni ed elementi che vanno assolutamente evitati come l’alienazione, l’isolamento, poco dialogo tra i colleghi, disorganizzazione, eccessivo controllo e orari di lavoro dilatati. Impostare una già citata cultura aziendale per obiettivi aiuta sicuramente a contrastare anche i rischi causati da un eccessivo home working.
  1. Vigilare e prevenire molestie psicologiche e/o fisiche e casi di mobbing. Sembra una banalità, ma non lo è. Comportamenti di questo tipo sono purtroppo molto comuni ed è importante che il dipendente si senta al sicuro e tutelato all’interno dell’organizzazione per cui lavora. Per questo è importante definire un piano strategico di prevenzione di questi fenomeni, creare dei momenti di ascolto facilitando le segnalazioni di eventuali episodi e attivare le dovute sanzioni quando necessarie. 
  1. Attivare un piano benefit che preveda iniziative di sostegno al work-life balance come servizi per la famiglia, assistenza sanitaria, convenzioni per gli acquisti, ma anche momenti dedicati al benessere del dipendente in azienda come formazione, corsi di mindfulness e team building tra colleghi. 

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