Basta con l’hate speech sui social, subito regole di comunicazione per insegnanti ed educatori

 Basta con l’hate speech sui social, subito regole di comunicazione per insegnanti ed educatori

Non c’è cosa peggiore, per un insegnante, che non onorare il proprio ruolo di docente ed educatore. Un docente è un educatore sempre, non solo in classe. Anche quando torna in famiglia o quando si relaziona con gli altri, fuori dalle aule. Così come un medico è sempre un medico, non solo nel suo studio o in ospedale. Lo status di insegnante è riconosciuto a livello sociale come uno dei più importanti per la crescita culturale del nostro Paese. Un docente non può comportarsi da “bullo” e non può comunicare usando un linguaggio d’odio, in modo particolare contro ragazze e ragazzi (ancor peggio se minori).

Altrimenti, tutti gli insegnamenti perdono di valore. E questo vale anche sul web e sui social. Eppure, ad Anita, la studentessa di 12 anni che da settimane si batte per difendere il suo diritto all’istruzione e a frequentare le lezioni in presenza, è stato riversato addosso una marea di “odio social”. Anche da molti docenti. Assurdo, ma è così. Un odio social scatenato da parole e frasi come: “imbavagliatela”, “bocciatela a prescindere”, “non rompere”, “patetica” e c’è chi invoca addirittura il “terapeuta” o parla di altro esempio di bambina cresciuta con il “latte al plutonio”, per citare le frasi del governatore De Luca. I commenti sono centinaia e molti dei più duri arrivano proprio dalla classe docente, i cui profili sono ben visibili sotto articoli, editoriali e post pubblicati su facebook. 

La prima a denunciare quanto accaduto contro Anita è stata l’ex ministra dell’Istruzione, Lucia Azzolina, in un lungo post pubblicato sul suo profilo facebook lo scorso 24 febbraio. Da allora, gli attacchi ad Anita non si sono ancora fermati. Azzolina ha raccontato di aver ricevuto una lettera dalla mamma della ragazza che l’ha turbata profondamente. Anita, che ha manifestato per settimane davanti alla sua scuola per chiedere di rientrare in classe, ha preso posizione anche sul dibattito circa la necessità di allungare il calendario scolastico per recuperare i giorni trascorsi a casa con la Dad (Didattica a distanza). 

La sua colpa è di aver detto di preferire “la classe alle vacanze”, perché è stato “perso troppo tempo”. Dichiarazioni finite sulla stampa e poi condivise sui social e seguite da “un fiume di insulti”, come ha detto la Azzolina, che ha specificato anche, senza mezzi termini, che “la maggior parte dei commenti è stata scritta da docenti”.

Docenti che dovrebbero essere stati formati in questi anni circa l’uso corretto del web attraverso le azioni del PNSD (Piano nazionale scuola digitale), con la formazione sulla media education e la cittadinanza digitale, con eventi internazionali come il Safer Internet Day o con progetti come “Generazioni connesse” o il “Manifesto della comunicazione on ostile”. Non dimentichiamoci anche che questo è l’anno in cui è diventata curriculare in tutte le scuole di ogni ordine e grado la “nuova” Educazione civica (con 33 ore annue per ogni classe). E la lotta contro il cybebullismo, le fake news e l’hate speech (il linguaggio d’odio sulla rete) è uno dei “focus” di tutto questo lavoro. Oggi siamo arrivati ad un punto in cui si rende necessario colmare il “gap comunicativo” che riguarda la classe insegnante (e non solo), sia rispetto la loro presenza sul web che sui social. Bisogna insegnare ai docenti a comunicare in maniera etica ed efficace, soprattutto sul web, e il primo passo dovrebbe essere quello di dotare la categoria dei docenti di uno specifico codice deontologico. Una cosa è esprimere una opinione o una critica, altra cosa è usare termini e frasi contenenti offese e linguaggio d’odio. Nel caso di Anita è ancora più grave, perché le offese sono state fatte da docenti e da educatori contro una studentessa che, tra l’altro, si sta battendo per la tutela di un diritto costituzionale.

Nel mondo di oggi, dove la comunicazione digitale è alla portata di tutti, insegnare ai docenti a comunicare in maniera eticamente efficace, è diventato un imperativo. Così come sarebbe molto utile sposare una “comunicazione positiva e gentile”. Le scuole dovrebbero potersi dotare ugualmente di referenti per la comunicazione, in modo da gestire in maniera professionale blog, siti e canali social dove interagiscono ogni giorno anche studenti, famiglie e stakeholders. Un referente della comunicazione in ogni scuola, così come esistono già docenti animatori digitali, referenti per la legalità e per l’inclusione. Ma che siano formati da professionisti e come professionisti. La prima cosa da spiegare è che i social sono anche dei “media” (anzi, “nuovi media”) e che tutto ciò che si pubblica su facebook, twitter e company, diventa di dominio pubblico, nel bene e nel male. Il caso di Anita non deve più ripetersi. Nel frattempo, i commenti degli insegnanti coinvolti in questa brutta storia sono finiti sotto la lente del Ministero dell’Istruzione. 

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