Datamagazine informa l’utente che questo sito web non utilizza cookie di profilazione al fine di inviare messaggi pubblicitari in linea con le preferenze manifestate nell’ambito della navigazione in rete

Smart Working tra rivoluzione e ascolto

Cominciare una rivoluzione è facile, è il portarla avanti che è molto difficile” diceva Nelson Mandela. E forse frase più calzante non si potrebbe trovare se si pensa alla rivoluzione portata dallo smart working nel mondo del lavoro. Un cambiamento sociale profondo, che ha investito e trasformato, in velocità, abitudini e approcci del singolo lavoro e del singolo datore di lavoro: la sfera professionale si è trovata a coincidere con quella familiare e personale (non senza attriti e disarmonie), sono cambiati gli spazi e gli ambienti lavorativi, si sono dovute aggiornare le competenze e gli strumenti del mestiere. Il tutto in un quadro di incertezza economica e sanitaria.

Lavorare bene. Lo smart working come alleato” è il titolo del white paper di Cefriel (centro di innovazione digitale italiano fondato dal Politecnico di Milano) a firma di Roberta Letorio che parte da una domanda semplice e determinante: perché c’è bisogno di lavorare bene?: “In America è in corso una sorta di movimento, YOLO1 (You Only Live Once – Si vive una volta sola): le persone hanno sempre più paura di vivere una vita insoddisfacente, per cui preferiscono abbandonare un lavoro stabile per mettersi in proprio, trasformando un hobby in un lavoro a tempo pieno, oppure scelgono di lavorare per un’azienda solo in funzione di quanto questa darà loro la possibilità di lavorare da dove e quando vogliono, per conciliare lavoro e bisogni personali o familiari”. Una tendenza percepita anche in parte in Italia che nasce dalla necessità di dare valore e senso alla propria vita lavorativa, in un quadro che sia armonico anche con la vita personale.

La fluidità sembra la nuova via tracciata dal post-pandemia: sapersi adattare al cambiamento vuol dire da un lato cambiare prassi e metodi, come ad esempio in ambito formativo, dall’altro puntare sulla flessibilità di luoghi e orari. A finire nel frullatore del cambiamento sono state anche le relazioni con i propri colleghi e i clienti esterni: il digitale ha colmato la distanza fisica, ma probabilmente non quella sociale ed emotiva. 

Lavorare esclusivamente da remoto, come avvenuto durante il lockdown, ha portato alcune persone a ‘rifugiarsi’ nella propria zona di comfort, inasprendo a volte anche il modo di relazionarsi con gli altri. Quello di cui c’è bisogno, ora, è ritornare al confronto come occasione di crescita e sviluppo, ricostruire ponti tramite la comunicazione, mediata e non. I cambiamenti avvenuti negli ultimi mesi sono significativi e riguardano tutti gli aspetti del mondo del lavoro e tutti i momenti della vita della persona; oltre a spazi e tempi, vanno ripensate le modalità di interazione, le policy, i percorsi di sviluppo e i sistemi di welfare” evidenzia il paper, che vuole andare al di là di semplificazioni e banalizzazioni che riducono lo smart working solo a “lavoro da remoto” o a uno stratagemma per favorire chi non vuole impegnarsi.

Photo by Christin Hume on Unsplash

Già, ma che cos’è lo Smart Working?

Una definizione è contenuta nella Legge n.81 del 22 maggio 2017: “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (…), senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro”. Una definizione che sottintende una modalità diretta sempre più al risultato e agli obiettivi della prestazione piuttosto che allo svolgimento dell’attività lavorativa all’interno di una cornice rigida. Insomma, lo smart working costituisce una modalità innovativa e flessibile di realizzazione delle attività, che consente ai lavoratori di eseguire la prestazione lavorativa in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza l’utilizzo di una postazione fissa ed “entro i soli vincoli di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva di settore”.

Le parole d’ordine? Autonomia, flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia. Un cambio di prospettiva radicale, che guarda alle persone e al risultato e non alla cornice nelle quale sono inseriti.

Come si declina concretamente questo cambio di prospettiva?

L’esperienza di Cefriel suggerisce qualche idea come ad esempio:

  • Ripensare gli spazi 
  • Regolare i tempi 
  • Favorire le relazioni 
  • Cambiare il modello di leadership 

Far lavorare bene le persone, anche attraverso lo smart working, è impegnativo, sia per le piccole realtà imprenditoriali che per quelle di più grandi dimensioni. È richiesto, infatti, ascolto costante delle esigenze dei singoli e capacità di costruire soluzioni ‘su misura’, che possano bilanciare necessità aziendali con bisogni delle persone che lavorano” conclude il paper, focalizzando l’attenzione sulla vera rivoluzione da compiere: quella dell’ascolto.

About Post Author

Related Posts