Smart Working tra rivoluzione e ascolto

 Smart Working tra rivoluzione e ascolto

Photo by Nikita Vantorin on Unsplash

Cominciare una rivoluzione è facile, è il portarla avanti che è molto difficile” diceva Nelson Mandela. E forse frase più calzante non si potrebbe trovare se si pensa alla rivoluzione portata dallo smart working nel mondo del lavoro. Un cambiamento sociale profondo, che ha investito e trasformato, in velocità, abitudini e approcci del singolo lavoro e del singolo datore di lavoro: la sfera professionale si è trovata a coincidere con quella familiare e personale (non senza attriti e disarmonie), sono cambiati gli spazi e gli ambienti lavorativi, si sono dovute aggiornare le competenze e gli strumenti del mestiere. Il tutto in un quadro di incertezza economica e sanitaria.

Lavorare bene. Lo smart working come alleato” è il titolo del white paper di Cefriel (centro di innovazione digitale italiano fondato dal Politecnico di Milano) a firma di Roberta Letorio che parte da una domanda semplice e determinante: perché c’è bisogno di lavorare bene?: “In America è in corso una sorta di movimento, YOLO1 (You Only Live Once – Si vive una volta sola): le persone hanno sempre più paura di vivere una vita insoddisfacente, per cui preferiscono abbandonare un lavoro stabile per mettersi in proprio, trasformando un hobby in un lavoro a tempo pieno, oppure scelgono di lavorare per un’azienda solo in funzione di quanto questa darà loro la possibilità di lavorare da dove e quando vogliono, per conciliare lavoro e bisogni personali o familiari”. Una tendenza percepita anche in parte in Italia che nasce dalla necessità di dare valore e senso alla propria vita lavorativa, in un quadro che sia armonico anche con la vita personale.

La fluidità sembra la nuova via tracciata dal post-pandemia: sapersi adattare al cambiamento vuol dire da un lato cambiare prassi e metodi, come ad esempio in ambito formativo, dall’altro puntare sulla flessibilità di luoghi e orari. A finire nel frullatore del cambiamento sono state anche le relazioni con i propri colleghi e i clienti esterni: il digitale ha colmato la distanza fisica, ma probabilmente non quella sociale ed emotiva. 

Lavorare esclusivamente da remoto, come avvenuto durante il lockdown, ha portato alcune persone a ‘rifugiarsi’ nella propria zona di comfort, inasprendo a volte anche il modo di relazionarsi con gli altri. Quello di cui c’è bisogno, ora, è ritornare al confronto come occasione di crescita e sviluppo, ricostruire ponti tramite la comunicazione, mediata e non. I cambiamenti avvenuti negli ultimi mesi sono significativi e riguardano tutti gli aspetti del mondo del lavoro e tutti i momenti della vita della persona; oltre a spazi e tempi, vanno ripensate le modalità di interazione, le policy, i percorsi di sviluppo e i sistemi di welfare” evidenzia il paper, che vuole andare al di là di semplificazioni e banalizzazioni che riducono lo smart working solo a “lavoro da remoto” o a uno stratagemma per favorire chi non vuole impegnarsi.

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Già, ma che cos’è lo Smart Working?

Una definizione è contenuta nella Legge n.81 del 22 maggio 2017: “modalità di esecuzione del rapporto di lavoro (…), senza precisi vincoli di orario o luogo di lavoro”. Una definizione che sottintende una modalità diretta sempre più al risultato e agli obiettivi della prestazione piuttosto che allo svolgimento dell’attività lavorativa all’interno di una cornice rigida. Insomma, lo smart working costituisce una modalità innovativa e flessibile di realizzazione delle attività, che consente ai lavoratori di eseguire la prestazione lavorativa in parte all’interno dei locali aziendali e in parte all’esterno, senza l’utilizzo di una postazione fissa ed “entro i soli vincoli di durata massima dell’orario di lavoro giornaliero e settimanale derivanti dalla legge e dalla contrattazione collettiva di settore”.

Le parole d’ordine? Autonomia, flessibilità, responsabilizzazione, valorizzazione dei talenti e fiducia. Un cambio di prospettiva radicale, che guarda alle persone e al risultato e non alla cornice nelle quale sono inseriti.

Come si declina concretamente questo cambio di prospettiva?

L’esperienza di Cefriel suggerisce qualche idea come ad esempio:

  • Ripensare gli spazi 
  • Regolare i tempi 
  • Favorire le relazioni 
  • Cambiare il modello di leadership 

Far lavorare bene le persone, anche attraverso lo smart working, è impegnativo, sia per le piccole realtà imprenditoriali che per quelle di più grandi dimensioni. È richiesto, infatti, ascolto costante delle esigenze dei singoli e capacità di costruire soluzioni ‘su misura’, che possano bilanciare necessità aziendali con bisogni delle persone che lavorano” conclude il paper, focalizzando l’attenzione sulla vera rivoluzione da compiere: quella dell’ascolto.

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