L’utente medio trascorre oltre 75 ore al mese online, ma la rete è ancora lontana dall’essere davvero accessibile a chiunque, Eye-Able sfata cinque miti sull’accessibilità digitale per costruire un web in cui nessuno resti escluso
L’ultimo aggiornamento dell’Osservatorio comunicazioni Agcom ha rilevato che nel marzo 2025 ben 44,55 milioni di utenti hanno navigato in rete in Italia, trascorrendo in media oltre 75 ore e 13 minuti online. L’uso del web è ormai un’abitudine consolidata e in continua crescita, diventando uno spazio centrale per lavoro, studio, servizi e intrattenimento.
Nonostante la rete giochi un ruolo così centrale nella vita quotidiana, non tutti riescono ad accedervi con la stessa facilità. Le persone con disabilità, in particolare, incontrano ancora numerosi ostacoli a causa di siti e servizi digitali non pienamente accessibili. Secondo il monitoraggio AgID 2024 infatti, sono state pubblicate 65.681 dichiarazioni di accessibilità, con un trend crescente rispetto agli anni precedenti. Si tratta di documenti ufficiali pubblicati dai siti web e dai servizi digitali delle PA e delle aziende, in cui viene dichiarato il livello di conformità del sito alle linee guida sull’accessibilità (WCAG).
Tuttavia, solo il 13% di queste dichiarazioni risulta pienamente conforme alle norme, mentre il restante 87% è parzialmente conforme o non conforme. Questo indica che, sebbene sempre più enti pubblici e aziende stiano dichiarando i propri livelli di accessibilità, nella pratica la maggior parte dei siti web non garantisce davvero un accesso completo alle persone con disabilità.
Con l’entrata in vigore dell’European Accessibility Act (EAA) il 28 giugno 2025, l’accessibilità digitale diventa non solo una questione etica ma anche un obbligo di legge per tutte le aziende che offrono prodotti e servizi digitali nel mercato europeo. Eppure, nonostante la crescente attenzione sul tema, permangono convinzioni errate che ostacolano la reale adozione di pratiche inclusive e ritardano la trasformazione del web in uno spazio veramente aperto a tutti.
A individuare e chiarire i principali fraintendimenti è Eye Able, scale-up italiana già leader in Europa per l’accessibilità digitale, che ha raccolto i cinque falsi miti più diffusi per rendere i propri siti davvero raggiungibili per tutti:
1. “Ho il widget, quindi il mio sito è accessibile”
Uno degli errori più comuni è credere che installare un widget di accessibilità renda automaticamente un sito conforme. Il widget permette sicuramente di personalizzare e migliorare l’esperienza di navigazione manon interviene sul codice HTML, non crea testi alternativi per le immagini e non può correggere una struttura di navigazione inadeguata. È uno strumento molto utile, ma la sua efficacia dipende dal lavoro che viene fatto “dietro le quinte”: senza interventi tecnici sul sito, il widget da solo non è sufficiente a garantire una reale accessibilità.
2. “L’accessibilità serve solo alle persone con disabilità”
L’accessibilità digitale è una questione che riguarda tutti. Un sito veloce, con navigazione chiara, testi leggibili e video sottotitolati migliora l’esperienza di ogni utente, dagli anziani, a chi ha un infortunio temporaneo, agli adulti poco digitalizzati,fino a chi naviga con connessioni lente o da smartphone. Come recita l’European Accessibility Act, si tratta di garantire “indipendenza e autonomia per ogni cittadino”. L’accessibilità è un valore comune, non un’esigenza di nicchia.
3. “Non riguarda la mia azienda”
Con l’EAA, gli obblighi di accessibilità si estendono a tutti coloro che offrono o vendono prodotti e servizi digitali nel mercato europeo, quindi siti web, e-commerce, servizi bancari, trasporti, piattaforme di streaming e dispositivi come gli ATM. Solo le microimprese sono escluse dagli obblighi, anche se la normativa ne incoraggia comunque l’adozione per aumentare competitività e inclusione, infatti il punto centrale non sono solo i requisiti tecnici ma la sua finalità olistica ovvero rendere il digitale realmente inclusivo.
4. “È troppo costosa e complessa da implementare”
L’accessibilità non è un costo, ma un investimento. Chi non si adegua all’EAA rischia sanzioni fino al 5% del fatturato, oltre al ritiro temporaneo del prodotto o alla sospensione del servizio. Adottare un approccio “accessibility by design”, integrando i criteri di accessibilità sin dalle prime fasi di progetto, consente di ridurre tempi e costi di adeguamento. Essere accessibili significa anche rafforzare la reputazione del brand come inclusivo e affidabile agli occhi di clienti e partner.
5. “Una volta fatto, sono a posto”
L’accessibilità non è un traguardo, ma un processo continuo. Ogni aggiornamento del sito o dei suoi contenuti richiede una verifica dell’assenza di barriere digitali. rilevanti, per cui il processo di verifica deve essere costante, così come la formazione delle persone che lavorano in azienda, per diffondere una cultura realmente inclusiva.
L’accessibilità va considerata come un nuovo standard del digitale, al pari della sicurezza, della performance o della protezione dei dati. Non è un’opzione, né un intervento una tantum: è una pratica da integrare stabilmente nei processi aziendali, supportata da formazione continua e da una cultura inclusiva diffusa in tutta l’organizzazione.
“In un mondo sempre più digitale, garantire l’accessibilità non è solo un obbligo normativo, ma una responsabilità sociale e una grande opportunità di business. Sfatare questi miti è il primo passo per costruire un ecosistema digitale davvero aperto a tutti, dove nessuno resti escluso,” conclude Lorenzo Scumaci, CEO di Eye-Able Italia.